Ringrazio anticipatamente chiunque vorrà arricchire queste pagine con un commento.
Chiedo solo a ciascuno il buon senso di evitare espressioni che possano risulate offensive per qualsiasi altro visitatore.

domenica 22 gennaio 2012

Articoli non in saldo.

Abiti, scarpe e accessori... rigorosamente firmati .
E su tutto, la scritta a caratteri cubitali: 'SALDI'.
Per le strade di Treviso quasi non si cammina e per raggiungere i centri commerciali si fa la coda. 
Del resto tutto questo, al giorno d'oggi, è considerato alla base e al tempo stesso espressione di successo... 
Averlo, poi, a buon prezzo (davvero?) è quasi un trionfo...
Per chiunque: un' immagine di successo!
O meglio, di quel successo dettato dalla moda e dagli stereotipi proposti dai media. Ne esiste di altro tipo?
Seduto al tavolino di un bar, un manager sicuramente di successo si rivolge alla sua piccola platea dichiarando orgoglioso: "Mi considero un uomo arrivato!" (che cosa triste...)
Un uomo grande, di grande umanità come Umberto Veronesi dichiarò in un'intervista: "Non mi considero un uomo di successo perchè (...) il cancro non è sconfitto." (!!!)
Successo è esibire uno Status symbol a ogni costo (magari in saldo) o spendere ogni giorno della propria vita per uno scopo in cui si crede senza mai lascaire che venga meno l'entusiasmo?
Entrambe le cose, forse: dipende da cosa uno ha dentro.
Al Palaverde un atleta raccoglie l'appaluso dei fan completamente 'rivestito' delle marche che pubblicizza, nel corridoio di una casa di riposo un'infermiera in divisa bianca sosta un attimo e stringe la mano tremante di un vecchio appagata solo del suo sorriso di gratitudine, in un'anonima aula di liceo un professore dall'aspetto un po' sgualcito sorride guardando negli occhi il suo allievo più promettente e, forse, la sua soddisfazione non è da meno. 
Tutti e tre fanno quello che fanno, ogni giorno, prima di tutto per se stessi: il risultato delle loro azioni poi lo regalano ognuno a persone diverse ma nel farlo esprimono ciascuno una parte di sé...
Forse un giorno regaleranno anche la loro vita se penseranno che qualcuno la meriti, ma viverla hanno capito che posso viverla solo per se stessi.
Quanto si paga un successo come questo? 
Mi spiace: è un 'articolo non in saldo'





mercoledì 18 gennaio 2012

Un sapore familiare.

La pioggia dietro le finestre racchiude la gioia di tre monelli che litigano, agitati e nervosi come bestioline in gabbia. Nella penombra di un pomeriggio uggioso come il grigio delle vecchie case, la luce giallognola che filtra dalle tendine di una cucina ha un sapore familiare e rassicurante.
Le urla dei monelli si sentono fino in strada mentre la sagoma di un cuscino... o qualcosa del genere... sfiora il lampadario. 
Poi un breve tonfo ed il 'crash' leggero di un oggetto che si infrange sul pavimento. 
Silenzio. Silenzio imbarazzato. Silenzio carico di timore e di riso...
Chi è stato? Nessuno? Tutti?
Regna una legge tra quei tre monelli, una legge mai scritta, mai detta, ma da tutti da sempre rispettata: tra loro possono litigare quanto vogliono, possono urlare, insultarsi o azzuffarsi, ma da tutti gli altri si difendono insieme.
"Mamma, ha smesso di piovere, il cielo si è schiarito possiamo uscire: possiamo andare a vedere se c'è l'arcobaleno?"
"Ma sì... ma sì: toglietevi dai piedi che è meglio..."
Tre folletti volano con le giacche gonfie al vento, sulla scia di un arcobaleno che sposa due file di monti abbracciate e alla finestra una voce, un volto, una mano che sventola qualcosa di colorato: "non dimenticate il berretto che fa freddo!"

domenica 15 gennaio 2012

Una casa, un posto dove vivere.

La  casa non è molto diversa da quelle che la circondano: ha la ringhiera da ridipingere, la ghiaia sul vialetto e, dietro, un paio di aiuole che in estate straripano di ortensie ed azzalee e il grande pino che si erge protettivo davanti all'entrata appare quasi autoritario e al tempo stesso rassicurante, come le parole di un padre che ammonisce e sostiene. 
Un uomo apre il cancello con un breve cigolio ed entra.
Una casa è solo un posto dove vivere, a meno che uno lì non ci sia nato e cresciuto, non abbia litigato con i fratelli per la stanza migliore, non ci abbia portato di nascosto la prima morosa...
Se è così, allora, quella casa finisce col fare parte di lui, delle sue 'fondamenta', entra nei suoi sogni e gli può capitare di sentirne gli odori anche a distanza di anni e di chilomentri.
Ma anche così un giorno succederà che la lascerà, quella casa...
E allora ci saranno altra case.
Il primo affitto, orrendamente ammobiliato, che si può permettere col suo stipendio, la prima casa da dividere con una donna perchè ha capito di volersi svegliare accanto a lei ogni mattina, e quella dove è sicuro di voler crescere i suoi figli... Quella che, entrandoci dopo aver fatto un mucchio di firme davanti ad un notaio, gli sembra di aver costruito con le sue stesse mani, mattone dopo mattone: ne sente il peso dei sacchi di cemento sulle spalle.
L'uomo sale i pochi gradini che lo dividono dalla porta di entrata con la ventiquattrore in mano e l'aria stanca ma soddisfatta di chi ha appena termiato una lunga giornata di lavoro.
Qualcuno, all'interno, ha ascoltato i suo passi che si avvicinavano e lo precede nell'aprire la porta.
Un sorriso: ecco, è a casa.

domenica 8 gennaio 2012

Andare avanti.


Ferma all’uscita del tribunale una donna osserva distratta Treviso che scorre frenetica ed umida di nebbia.
Due uomini in giacca e cravatta discutono animatamente di sport già dimentichi delle storie che hanno appena visto scontrarsi all'interno del palazzo di giustizia. In cima alle scale alcune donne in tailleur e tacchi alti si sfiorano, nella ressa davanti alla porta a vetri, senza neppure incrociare lo sguardo. Sul viale il susseguirsi delle auto crea un monotono sottofondo al quale si sovrappongono le suonerie dei cellulari che si rincorrono, trillo dopo trillo, incessanti.
Nella folla delle dieci della mattina, davanti al tribunale di Treviso, la solitudine lei la tocca con mano.
Non è tanto la fine di un rapporto, non è nemmeno il pensiero degli anni buttati via o la freddezza della procedura di separazione a farle male... è più quella improvvisa, ansiosa smania di sapere chi è veramente.
E’ così tutte le volte che qualcosa di importante cambia radicalmente nella sua vita: vuole solo ritrovare la persona che è… quella che sente di essere davvero, al di là dei legami con gli altri…
Vuole ritrovare la propria integrità anche senza una parte di sé.
Così si spoglia freneticamente dei ruoli nei quali si è riconosciuta fino a quel momento… come abiti fuori luogo, o peggio in fiamme… fino a scoprire il corpo nudo della sua identità di donna.
Allora alza al testa e si incammina… un passo dietro l’altro, consapevole che bisogna solo andare avanti, non negarsi mai la possibilità di essere felici… Anche se a volte niente sembra più difficile…
Anche se sarebbe molto più facile sedersi su quei gradini, prendersi la testa tra le mani e piangere, semplicemente piangere.

domenica 1 gennaio 2012

AUGURI da Treviso!

Ogni anno nel giro di mezza giornata messaggi e telefonate ci dicono che a mezzanotte cambierà qualcosa.
Un nuovo anno, un nuovo inizio e qualcosa che finisce per sempre: i momenti difficili si spera... I dispiaceri...
Le strade di Treviso sono addobbate a festa e la gente passeggia e sorride.
Una coppia non più giovane, avvolta nei cappotti classici ed eleganti, avanza senza bisogno di parlare, tenedosi a braccetto, coi passi precisi di un'andatura consolidata. Per loro forse non deve cominciare proprio niente: solo continuare un'esistenza 'meno peggio' di tante altre.
I gruppi di giovani dagli occhi a mandorla pieni di piercing e tatuaggi, invece, sono certo carichi di aspettative e vanno avanti per la loro strada parlando infretta senza cedere il passo a nessuno, neanche quando il marciapiede diventa così stretto da costringerti a cambiare in continuazione lato della strada.
Poi ci sono quei due ragazzi: troppo giovani, troppo sorridenti e troppo belli nella felicità del loro abbraccio per poter credere che per loro esisterà mai un momento diverso da quello che stanno vivendo.
Nella piazza la giostra dei cavalli è come un giocattolo fuori posto nella stanza di una casa signorile dalle pareti antiche di portici e vetrate.
Una bambina fissa quella danza di cavalli di legno incredibilmente insensibile al frastuono della musica a volume improponibile e dei botti che a cadenza regolare invadono come un incubo quella parvenza di sogno.
Dietro il suo sguardo rapito la vita semplice e spensierata dei piccoli che tanto spesso finiamo tutti col rimpiangere una volta adulti o forse solo (solo?!) l'ingenua convinzione che la vita si possa semplicemente reinventare ogni giorno, come rifare un disegno a pastelli o una costruzione coi lego.
Lo spettavolo pirotecnico dalla torre attira lo sguardo di tutti.
La bambina e il suo entusiasmo malcelato sono sicuramente pronti...
Per tutti gli altri, buon anno, che siate pronti oppure no!